domenica 20 maggio 2012

Perché meditare?


Ho trovato un gran piacere nel leggere l'articolo di Paolo, perché mi restituisce e approfondisce un'esperienza che abbiamo fatto assieme.

Sperimentando la meditazione in pubblico, in un contesto così diverso dal solito, ho scoperto che se vado dentro di me tutto scompare, quindi poco importa se mi trovo al PAC di Milano o in un monastero isolato. Quando vado dentro di me c'è solo un confronto continuo con la mia mente, più o meno agitata, che a tratti si calma, permettendo di rilassarmi, più spesso salta come un grillo, passando da un pensiero all'altro o da una sensazione all'altra, toccando talvolta un mix di sensazioni, emozioni, pensieri.

Questa esperienza mi ha sollecitato una domanda, che si agita in me da molto tempo: perchè medito? Meditare significa infatti sottoporsi a questo balletto con la mente, talvolta insopportabile. Qualche giorno fa sono arrivata a questa risposta: non medito per fare esperienza di questa danza tra pensieri, sensazioni ed emozioni, che a volte diventa un vero e proprio inferno, né per cogliere un momento presente che cambia di continuo, ma per quello che accade dopo, quando capita di cogliere un barlume di pace senza tempo.

Questa domanda: perché medito? mi fa tornare la memoria a una lettera che scrissi molto tempo fa al mio maestro Osho Rajneesh per chiedergli che cosa pensasse di una pratica buddista che allora avevo intrapreso da poco. Mi rispose apprezzando l'apertura agli altri che traspariva dalla mia lettera e consigliandomi di usare sempre nelle mie scelte il criterio della gioia e della consapevolezza. In conclusione si raccomandò con me di non dimenticare mai la meditazione,che mi avrebbe portato come frutto la realizzazione: aggiunse che questo frutto così prezioso avrebbe valso l'impegno profuso, indipendentemente dal tempo dedicato, anche nel caso comportasse numerose esistenze.

Tornando a me, oggi, posso dire che mi ci vuole sempre un certo periodo di tempo per uscire dalla meditazione. Inizialmente mi sento ovattata, come se stesse nevicando, come se il tempo fosse rallentato. Poi emerge una nostalgia di quel dentro, il desiderio di tornare a quell'esperienza di pace. È come il richiamo della foresta. Sai che puoi ritornare lì, dove ti aspetta una nuova energia, che ti sorprende, che puoi trovare proprio perché non si cerca. Quando te ne accorgi, ti fa dire: "Oh, quanto sono cambiata! Oh, quanto mi sento viva! Oh quanto la vita può essere meravigliosa, anche se esiste il dolore."

Chi mi guarda mentre medito che cosa può cogliere di tutto questo? La speranza di Marina Abramovic è che "l'osservatore e l'osservato sappiano mettersi in relazione con se stessi e con il presente, l'inafferrabile momento del qui ed ora". Può capitare se c'è il contesto adatto. Il mio ricordo va a uno spettacolo particolare cui mi è capitato di assistere: un massaggio praticato da un maestro tantrico su un suo allievo. Tutti noi partecipavamo in silenzio. Mi sentivo come se anch'io ricevessi su di me questo massaggio, mi sentivo imbevuta di bellezza e di amore.
Per quella che è la mia esperienza, al PAC di Milano è invece molto più difficile che l'osservatore esterno sia coinvolto nella meditazione, perché quando ho partecipato come osservatrice mancava il silenzio, mancava questo rapporto diretto tra maestro e discepolo. Gli stessi assistenti chiacchieravano, favorendo la distrazione del pubblico e compromettendo così il suo coinvolgimento.

Della performance di Marina Abramovic ho comunque molto apprezzato la creazione di un contesto che consente la sperimentazione della meditazione a un largo pubblico.

Ringrazio il mio compagno, con cui ho condiviso questa esperienza: il suo amore ha aiutato e stimolato questa mia riflessione. Senza una relazione di amore, che è appunto un fermarsi e stare con se stessi e l'altro, non ci può essere una riflessione profonda.

giovedì 17 maggio 2012

La fascinazione "perniciosa" dell'energia

Un mio caro amico, che si è laureato in chimica e ha mantenuto una solida mentalità scientifica, mi ha espresso tutti i suoi dubbi quando ho parlato qui dell'energia dei cristalli.

Anche Bateson, eclettico antropologo, psicologo, filosofo e cibernetico, figlio di uno scienziato, ha espresso la sua avversione nei confronti di un uso disinvolto del concetto di energia, dicendo: "Fra tutti gli esempi di grandezze fisiche dotate di magia mentale, la più perniciosa è l'"energia". Questo concetto della fisica quantitativa, un tempo definito con rigore e dotato di dimensioni reali, è diventato, nel pensiero e nelle parole dei miei amici antimaterialisti, il principio esplicativo che si sostituisce a tutti gli altri." (Gregory Bateson & Mary Catherine Bateson Dove gli angeli esitano). Ma ha aggiunto: "ho deciso di vivere a Esalen, nel bel mezzo della contro cultura, con i suoi incantesimi, la sua ricerca astrologica della verità, i suoi riti divinatori, la sua medicina alternativa, le diete, lo yoga e via dicendo. Qui ho amici che mi vogliono bene e a cui voglio bene, e sempre più mi rendo conto che non potrei vivere altrove. I miei colleghi scienziati mi fanno paura e preferisco di gran lunga convivere con lo scetticismo che mi ispira gran parte della contro cultura che con il disgusto e l'orrore disumanizzante che mi ispirano i temi tradizionali e le abitudini di vita occidentali, così trionfanti e così spietati."

La "magia mentale" da cui è avvolto il concetto di energia è indubbio, ma non è detto che ciò debba essere per forza pernicioso. È la stessa "magia mentale" di cui hanno goduto in passato altre idee-forza, che hanno esercitato ed esercitano tuttora una vera e propria fascinazione culturale. Queste idee devono la loro diffusione non al rigore scientifico della loro definizione, ma al loro potenziale metaforico, alla loro presa sull'immaginazione umana, alla loro carica emotiva: direbbe Jung, alla loro connessione con archetipi del nostro inconscio collettivo. Penso a idee come anima, spirito e alla stessa idea di materia, che anche nell'accezione polemica con cui la usano i materialisti deve la sua forza non al suo rigore filosofico o alla sua origine scientifica, ma al suo legame, evidente nell'etimologia, con l'archetipo della Madre.

 I materialisti sanno di essere figli della Dea Madre?