Navigatore del Web, qui hai trovato l’approdo che non cercavi: ti sorprenderà. Non sempre chi cerca trova. A volte trova chi non cerca, o meglio non sapeva di cercare. E chi continua a trovare solo ciò che cerca … è proprio nei guai … Qui parleremo del trovare e di quel che si trova. Ma senza dimenticarci del cercare, più o meno consapevole, che viene prima. Anche quando chi cerca trova, quel che trovi non è ciò che cerchi, non corrisponde mai alle tue aspettative: ti sorprende.
venerdì 29 giugno 2012
Il Dalai Lama, un uomo che non si sente solo
lunedì 25 giugno 2012
Il medico che canta alle piante
domenica 3 giugno 2012
Chiostro di San Francesco
Mi viene a prendere sull'imbrunire e mi fa da Cicerone per le vie di Sorrento. Arriviamo a un belvedere sul mare appena in tempo per vedere il sole, davanti a noi, inabissarsi nelle onde.
Mi porta nel chiostro di San Francesco: rimango stordito dalla sua bellezza, fatta di antichità e di natura rigogliosa. Mi viene da piangere. Per darmi un tono faccio una fotografia, alla luce fioca del tramonto e alla luce elettrica di alcuni lampioni appena accesi.
Finalmente abbiamo tempo per parlare. Di cosa? Di un geniale professore di informatica, che conosciamo e stimiamo entrambi, grazie al quale ci siamo trovati a condividere il gusto della poesia su Facebook. Della possibilità di scrivere via Internet poesie dialogiche, a quattro mani. Più in generale del senso della poesia, una scrittura a rilascio lento, in un luogo come Facebook, con i suoi tempi sincopati e la sua fruizione istantanea. Alla fine ci scambiamo le nostre poesie: lei mi regala un suo libro, io la raccolta in fogli A4 delle mie poesie, non pubblicate. È un momento di commozione per entrambi.
A. è una professoressa di lettere in pensione da appena un anno ed è stata un'insegnante in gamba, coraggiosa. Ha scelto volutamente di insegnare lettere negli istituti professionali, che tra gli istituti superiori sono considerati i più "sfigati", perché secondo lei è solo insegnando ai ragazzi che meno sanno, che più hanno problemi che si può dimostrare realmente la propria capacita di insegnare. La sua scelta è stata una sfida, ma anche impegno sociale, progetto politico, ispirato dalle idee di Don Milani, dalla sua sperimentazione nella scuola di Barbiana. Le luccicano gli occhi quando mi racconta come fosse possibile trasmettere il gusto della poesia ai suoi ragazzi, nonostante gli istituti professionali diano priorità ad altro, a materie utili per trovare subito lavoro. O forse proprio per questo, aggiunge: "Sai, quelli degli istituti professionali sono ragazzi genuini, vicini alla realtà, alla concretezza, liberi da sovrastrutture culturali. Ho potuto trovare tra loro petite preziose, vere perle di sensibilità poetica".
A. ha un carattere riservato, dosa le parole. Mi trasmette una passione contenuta, temperata da un estremo rigore. Mi è sembrato di cogliere in lei un senso di solitudine, una sofferenza inespressa di cui non ho la chiave. In effetti siamo quasi degli estranei, ci conosciamo appena.
Davanti all'hotel, appena dopo aver preso in mano il mio fascicolo di poesie, mi congeda in modo sbrigativo, dicendomi che contrariamente a quanto mi aveva anticipato, l'indomani i suoi impegni le impediscono di rivedermi. Rimango dispiaciuto, perché speravo di continuare a parlare a lungo con lei.
Fin da piccolo, da quando tornavo dal sole ligure nello smog di Milano, sono abituato ad associare la tristezza al vivere a Milano e vedo le località marine come una promessa di gioia. Si può essere tristi a Sorrento?
La mattina dopo mi sveglio avvolto da un'ondata di tristezza, in cui il ricordo recente della poetessa e del suo brusco congedo la sera prima si mescolano ai ricordi lontani della solitudine che ho sofferto nel liceo classico milanese in cui ho passato la mia adolescenza, della solitudine affettiva del mio professore di italiano di allora, che ho colto in una sua bella lettera destinata a una mia cara compagna di classe: una lettera che mi è capitato di leggere recentemente. Una tristezza alimentata dalla distanza spaziale che mi separa dalla mia compagna, Chameli, e dal mio desiderio di averla qui con me.
Così torno al chiostro di San Francesco, cercandovi conforto. Ora è soleggiato. Ho il tempo di osservarlo meglio, in tutta la sua bellezza. Un luogo di preghiera, arte e natura.
Immerso in profumi
di limoni antichi
da secoli mi aspettavi
chiostro di fratello sole
dove la preghiera
fiorisce nelle rose.
Il salice ricurvo
ora non mi piange più.
domenica 20 maggio 2012
Perché meditare?
Ho trovato un gran piacere nel leggere l'articolo di Paolo, perché mi restituisce e approfondisce un'esperienza che abbiamo fatto assieme.
Sperimentando la meditazione in pubblico, in un contesto così diverso dal solito, ho scoperto che se vado dentro di me tutto scompare, quindi poco importa se mi trovo al PAC di Milano o in un monastero isolato. Quando vado dentro di me c'è solo un confronto continuo con la mia mente, più o meno agitata, che a tratti si calma, permettendo di rilassarmi, più spesso salta come un grillo, passando da un pensiero all'altro o da una sensazione all'altra, toccando talvolta un mix di sensazioni, emozioni, pensieri.
Questa esperienza mi ha sollecitato una domanda, che si agita in me da molto tempo: perchè medito? Meditare significa infatti sottoporsi a questo balletto con la mente, talvolta insopportabile. Qualche giorno fa sono arrivata a questa risposta: non medito per fare esperienza di questa danza tra pensieri, sensazioni ed emozioni, che a volte diventa un vero e proprio inferno, né per cogliere un momento presente che cambia di continuo, ma per quello che accade dopo, quando capita di cogliere un barlume di pace senza tempo.
Questa domanda: perché medito? mi fa tornare la memoria a una lettera che scrissi molto tempo fa al mio maestro Osho Rajneesh per chiedergli che cosa pensasse di una pratica buddista che allora avevo intrapreso da poco. Mi rispose apprezzando l'apertura agli altri che traspariva dalla mia lettera e consigliandomi di usare sempre nelle mie scelte il criterio della gioia e della consapevolezza. In conclusione si raccomandò con me di non dimenticare mai la meditazione,che mi avrebbe portato come frutto la realizzazione: aggiunse che questo frutto così prezioso avrebbe valso l'impegno profuso, indipendentemente dal tempo dedicato, anche nel caso comportasse numerose esistenze.
Tornando a me, oggi, posso dire che mi ci vuole sempre un certo periodo di tempo per uscire dalla meditazione. Inizialmente mi sento ovattata, come se stesse nevicando, come se il tempo fosse rallentato. Poi emerge una nostalgia di quel dentro, il desiderio di tornare a quell'esperienza di pace. È come il richiamo della foresta. Sai che puoi ritornare lì, dove ti aspetta una nuova energia, che ti sorprende, che puoi trovare proprio perché non si cerca. Quando te ne accorgi, ti fa dire: "Oh, quanto sono cambiata! Oh, quanto mi sento viva! Oh quanto la vita può essere meravigliosa, anche se esiste il dolore."
Chi mi guarda mentre medito che cosa può cogliere di tutto questo? La speranza di Marina Abramovic è che "l'osservatore e l'osservato sappiano mettersi in relazione con se stessi e con il presente, l'inafferrabile momento del qui ed ora". Può capitare se c'è il contesto adatto. Il mio ricordo va a uno spettacolo particolare cui mi è capitato di assistere: un massaggio praticato da un maestro tantrico su un suo allievo. Tutti noi partecipavamo in silenzio. Mi sentivo come se anch'io ricevessi su di me questo massaggio, mi sentivo imbevuta di bellezza e di amore.
Per quella che è la mia esperienza, al PAC di Milano è invece molto più difficile che l'osservatore esterno sia coinvolto nella meditazione, perché quando ho partecipato come osservatrice mancava il silenzio, mancava questo rapporto diretto tra maestro e discepolo. Gli stessi assistenti chiacchieravano, favorendo la distrazione del pubblico e compromettendo così il suo coinvolgimento.
Della performance di Marina Abramovic ho comunque molto apprezzato la creazione di un contesto che consente la sperimentazione della meditazione a un largo pubblico.
Ringrazio il mio compagno, con cui ho condiviso questa esperienza: il suo amore ha aiutato e stimolato questa mia riflessione. Senza una relazione di amore, che è appunto un fermarsi e stare con se stessi e l'altro, non ci può essere una riflessione profonda.
giovedì 17 maggio 2012
La fascinazione "perniciosa" dell'energia
Anche Bateson, eclettico antropologo, psicologo, filosofo e cibernetico, figlio di uno scienziato, ha espresso la sua avversione nei confronti di un uso disinvolto del concetto di energia, dicendo: "Fra tutti gli esempi di grandezze fisiche dotate di magia mentale, la più perniciosa è l'"energia". Questo concetto della fisica quantitativa, un tempo definito con rigore e dotato di dimensioni reali, è diventato, nel pensiero e nelle parole dei miei amici antimaterialisti, il principio esplicativo che si sostituisce a tutti gli altri." (Gregory Bateson & Mary Catherine Bateson Dove gli angeli esitano). Ma ha aggiunto: "ho deciso di vivere a Esalen, nel bel mezzo della contro cultura, con i suoi incantesimi, la sua ricerca astrologica della verità, i suoi riti divinatori, la sua medicina alternativa, le diete, lo yoga e via dicendo. Qui ho amici che mi vogliono bene e a cui voglio bene, e sempre più mi rendo conto che non potrei vivere altrove. I miei colleghi scienziati mi fanno paura e preferisco di gran lunga convivere con lo scetticismo che mi ispira gran parte della contro cultura che con il disgusto e l'orrore disumanizzante che mi ispirano i temi tradizionali e le abitudini di vita occidentali, così trionfanti e così spietati."
La "magia mentale" da cui è avvolto il concetto di energia è indubbio, ma non è detto che ciò debba essere per forza pernicioso. È la stessa "magia mentale" di cui hanno goduto in passato altre idee-forza, che hanno esercitato ed esercitano tuttora una vera e propria fascinazione culturale. Queste idee devono la loro diffusione non al rigore scientifico della loro definizione, ma al loro potenziale metaforico, alla loro presa sull'immaginazione umana, alla loro carica emotiva: direbbe Jung, alla loro connessione con archetipi del nostro inconscio collettivo. Penso a idee come anima, spirito e alla stessa idea di materia, che anche nell'accezione polemica con cui la usano i materialisti deve la sua forza non al suo rigore filosofico o alla sua origine scientifica, ma al suo legame, evidente nell'etimologia, con l'archetipo della Madre.
I materialisti sanno di essere figli della Dea Madre?
domenica 22 aprile 2012
L'arte della presenza mentale
Quando la meditazione diventa performance artistica
Stiamo vivendo in un periodo difficile, nel quale il tempo ha sempre più valore, semplicemente perché ce n'è sempre di meno.Credo che la performance di lunga durata abbia il potere di creare una trasformazione mentale e fisica sia per il performer sia per lo spettatore.Per questo motivo vorrei dare al pubblico l'opportunità di sperimentare e riflettere sulla vacuità, il tempo, lo spazio, la luminosità e il vuoto.Durante questa esperienza, spero che l'osservatore e l'osservato sapranno mettersi in relazione con se stessi e con il presente - l'inafferrabile momento del 'qui e ora'.
martedì 17 aprile 2012
Echi di Osho: la verità su di lui, oltre i media
Dai mass-media di lui mi arrivavano notizie scandalistiche: il guru del sesso libero, amante del lusso, collezionista di Rolls Royce, la sua comune nell'Oregon, la sua segretaria che scappa con la cassa, il suo arresto da parte della polizia americana, la sua espulsione, il suo ritorno in India, dove a Poona si costituisce attorno a lui una nuova comunità, dipinta a tinte fosche come luogo di droga e di promiscuità sessuale.
Negli anni '90, quando era già morto, mi è capitato di leggere Operazione Socrate, il racconto dell'esperienza dell'Oregon di due suoi seguaci italiani, Majid Valcarenghi e Ida Porta: ne emergeva un Osho diverso da quello dei giornali: un maestro spirituale anti-tradizionalista, anti-conformista, polemico e provocatorio verso le religioni istituzionali, per questo motivo attaccato dai fondamentalisti evangelici, incarcerato e avvelenato dal Governo americano, come Socrate lo fu dal Governo ateniese. Una testimonianza di parte? Può darsi, ma degna di ascolto, come fonte alternativa alla "verità ufficiale" dei media. Più difficile è considerare di parte il giornalista Enzo Biagi, autore di un'intervista molto rispettosa a Osho.
Chi era veramente Osho? Supponiamo ora di volere arrivare a una verità su di lui, in modo il più possibile obiettivo, considerando pure gli aspetti più controversi della sua esperienza in Oregon, andando oltre le denigrazioni dei suoi nemici, ma anche l'agiografia dei suoi seguaci. Se fossi un giornalista, tra le fonti non potrei non considererare le testimonianze di chi lo ha avuto come maestro. Ma so che in questo modo non avrei più a che fare con la verità come è comunemente intesa dai reportage giornalistici. I suoi discepoli mi parlerebbero non di fatti, ma di quello che Osho ha significato nella loro vita. Toccheremmo un altro livello di verità, con altre regole del gioco.
"Che cos'è la verità?" chiese Ponzio Pilato a Gesù, che non gli rispose. La risposta di un autentico Maestro a questa domanda non può porsi su un piano logico-intellettuale. L'insegnamento è comunicato attraverso altri canali, passa da cuore a cuore. Chi di Osho ha avuto un'esperienza diretta raccontando di lui racconterebbe qualcosa di se stesso, della propria vita, qualcosa di prezioso e di profondo. Sarebbe anche la verità su di sé, non solo la verità su Osho. Una verità che coinvolge e mette in gioco chi ne parla.
Osho, pungente e dissacrante, che mi guarda dalle sue foto con occhi di una dolcezza disarmante. Non lascia indifferente: ti affascina o ti fa paura. L'ho avvicinato poco a poco, praticando la meditazione Vipassana e conoscendolo dalle parole di altri meditanti come divulgatore e innovatore delle tecniche orientali di meditazione. Mi sono avvicinato lentamente, ammettendo la mia paura e aprendomi alla vita L'ho scoperto incontrando Chameli, la mia compagna: a lei e a lui ho dedicato una poesia.
domenica 25 marzo 2012
Voglio diventare un gelsomino
Nel 1984 incontrai un maestro indiano, Osho Rajneesh, che mi ha cambiato la vita. Lui mi diede il nuovo nome “Chameli”, che significa gelsomino. Faccio questa premessa con il cuore pieno di affetto e gratitudine verso questo maestro, che intuì, dandomi il nome di un fiore, quello che io ho impiegato una intera vita a comprendere.
Ho intrapreso il lavoro di psicoterapeuta, che amo profondamente, e dopo 20 anni di professione ho compreso con commozione la relazione tra il questo nuovo nome e il mio lavoro.
La psicoterapia, letteralmente, significa “terapia dell’anima” ed io così la intendo. Che sia psicanalisi freudiana o analisi del profondo, qualsiasi sia la scuola di riferimento, non importa più di tanto a chi ne beneficia. Generalmente va da uno psicoterapeuta chi si trova in difficoltà rispetto ad alcune situazioni di vita e sente che da solo non gli è possibile risolvere i suoi problemi, non tanto perché è in difetto, come purtroppo spesso i pazienti credono, ma perché è nella relazione con l’altro che noi possiamo trovare nuove risorse e liberare nuove energie per vivere meglio. Spesso il problema fondamentale è proprio quello di non essere stati educati ad una relazione umana, cioè una relazione che tenga in considerazione sia noi stessi, sia l’ambiente in cui viviamo.
La spiritualità è un’esperienza che modifica la nostra vita e che integra nella nostra quotidianità il mistero della vita. Anche se molti parlano di vita oltre la vita e fanno delle ipotesi interessanti e verosimili, una certezza a riguardo non c’è e non credo che ci sarà mai, forse non per caso: pertanto ritengo opportuno parlare di mistero. Credo che se vogliamo sviluppare una fede nella Vita, dobbiamo esperirla fino in fondo, preservando il mistero ed integrandolo un a un pezzo alla volta, man mano che viviamo. La saggezza, l’equilibrio e tutte le qualità di cui abbiamo bisogno per vivere bene sono il risultato di questo percorso.
Jung in “Psicologia e religione” distingue la “religiosità”, esperienza diretta del sacro che trasforma la vita, dalla “religione”, intesa invece come surrogato della stessa religiosità, quando manca questa esperienza diretta.
Il significato che io do a “spiritualità” è identico a quello di “religiosità”, che in Jung è una funzione dell’inconscio. Quello che dice Jung è importante, perché implica che se si fa un lavoro in psicoterapia sufficientemente profondo, in un certo momento ci si incontra o scontra con questa funzione.
A questo punto psicoterapia e spiritualità si possono incontrare e diventare una: ciò avviene quando la psicoterapia porta le persone ad evolvere, acquistando un valore etico e rendendo le persone migliori di quello che erano prima di iniziare questo percorso. Secondo me questo è possibile solo se lo stesso terapeuta ha già fatto questo passaggio. Ritengo che nel lavoro di psicoterapia si può trasmettere solo quello che si è, ma quello che siamo è un processo in divenire.
L’essenza di un fiore è il suo profumo. Un terapeuta è un fiore che emana un profumo, ognuno il suo, che è il risultato della sua vita. Il mio profumo è di gelsomino
Noi siamo, e qui cito il mio supervisore Alberto Torre, cellule staminali del divino, cioè siamo Dio: non è un’affermazione di grandiosità, ma al contrario un’affermazione che riconosce la bellezza e la perfezione della vita anche in una piccola cellula.
Se sono Dio basta che preghi e mi affidi al divino dentro di me, qualunque cosa faccia .
Ogni mattina io prego la buddhità, termine che nella tradizione buddista che seguo indica il divino dentro di me, il sacro e l’armonia presente nella natura dall’uomo alla montagna.
Prego per ricevere l’aiuto a sostenermi ad essere quello che sono nella mia essenza, quello che di me Osho aveva immediatamente compreso, per ricevere l’aiuto a essere un gelsomino che fiorisce.
TERAPIA
Profumo di sorriso
Forza tranquilla di relazione
Camminare sulla sabbia
Senza lasciare traccia
Emozioni che si liberano
Dalla prigione del passato
Sole che scioglie
La barriera congelata
Della vergogna